Oggi vi svelo un pezzetto del dietro le quinte del podcast Coachforbreakfast
Quando ci sono le ospiti, ormai lo sapete, faccio loro la domanda rito, ovvero:
ci sono stati dei momenti decisivi della tua vita, lavorativa e privata, che ti hanno condotto al tuo attuale lavoro? Quali risorse ti hanno aiutata in questo percorso?
Sono molto affezionata a questa domanda: trovo sempre una certa rassicurazione nel condividere il fatto che perdersi e ritrovarsi, fa parte del processo di crescita professionale di ciascuno di noi.
Com'è nata questa domanda? Credo di averla fatta subito, durante la prima intervista, e con una certa inconsapevolezza. Mi faccio guidare spesso dall'istinto.
In realtà, dietro questa richiesta, ci sono un sacco di desideri e bisogni: quello di confronto, quello di condivisione e quello di sfatare qualche mito rispetto al lavoro.
Sono stata cresciuta, come molti di voi, con un'idea del mondo del lavoro piuttosto lineare: scegli la scuola superiore, anche in base a quello pensi che vorrai fare "da grande". Partecipi alle ferie di orientamento professionale e scegli l'università. Se tutto va bene, ti laurei e ti si apre il mondo del lavoro.
Sempre "yes man", disponibile h24 7/7, lavori più ore dell'orologio così da essere notato dai capi che ti daranno un tempo indeterminato, farai carriera e dopo 30 anni o più nello stesso posto, eccoti arrivato alla pensione.
Se non riesci a conquistare la méta, la responsabilità è solo tua, perché si sa che "volere è potere" e se non hai potuto, non ci hai creduto abbastanza, oppure non hai i numeri giusti, il giusto talento etc. Tutto questo accompagnato dall'ansia di dover raggiungere gli obiettivi entro una certa data (35/40 anni), altrimenti il treno è perso.
Non so voi ma questa storia delle aspettative, con questo tipo di narrazione e tutti questi pregiudizi ha portato in me un profondo senso di inadeguatezza, di costante fallimento e di disorientamento, per la maggior parte della mia vita lavorativa.
Alcuni falsi miti
1. Parto dal grande classico, ancora in voga: la scelta dell'università determina il percorso che seguirai per il resto della vita. E se sei indeciso? E se non sai cosa ti piace? Allora potresti andare sul sicuro scegliendo delle università jolly e che potranno portarti ad un lavoro fisso, tipo giurisprudenza ed economia (ma è vero?). E se poi cambi idea? All'università hai 6 mesi di tempo per cambiare facoltà, ma dopo?
2. Il lavoro della vita: il tempo indeterminato è stato ed è una chimera per molti, anche perché ha un peso importante per costruirsi una famiglia, ad esempio. Quale banca, infatti, concede un mutuo per una casa o un'idea di business senza garanzie? Eppure sta crescendo il numero delle persone che, in cerca di un migliore equilibrio vita-lavoro, cambiano spesso occupazione.
3. Il mondo del lavoro non è flessibile: collegato al punto precedente, l'idea di cambiare azienda, ruolo o addirittura settore fa girare la testa a chiunque. E, poi, come inserirlo nel curriculum vitae o giustificarlo in sede di colloquio?
4. Lavorare sodo ripaga sempre: mica vero. Certe volte lavori e basta, tipo cricetino nella gabbia. A volte fai parte di un ambiente lavorativo che fa leva sul tuo senso del dovere ma che ti riconosce poco o nulla (insomma le ore extra sono per la gloria?!). Non è detto, quindi, che tutto questo venga riconosciuto in termini di salario o di avanzamento di carriera.
5. Collegato a questo mito, nonché titolo dell'articolo, il mantra volere è potere.
E', forse, uno dei miti peggiori con cui mi sono confrontata e mi confronto ancora. Non fraintendetemi, la forza di volontà, la determinazione, il lavoro, la dedizione, la chiarezza degli obiettivi, tutto è importante e concorre nel crearsi l'opportunità: quella di emergere, di differenziarsi, di avere una propria nicchia in cui potersi esprimere. Ma non sempre basta. Il fattore C, i pianeti che si allineano, le coincidenze, il momento e il posto giusto, chiamatelo come volte, ma è necessario.
6. Il lavoro dice chi sono e determina il mio valore. L'identità professionale è importante e si integra nella nostra identità personale (ne avevo parlato qui). Confondere il nostro lavoro con ciò che siamo diventa pericoloso e rischia di ridurre il senso della nostra vita solo a quel frammento.
Svolgo il mio lavoro con passione e dedizione, c'è tantissimo di me dentro.
Questo implica fatica, frustrazione, soddisfazione e innumerevoli ore dedicate alla riflessione, alla costruzione, alla ridefinizione e al continuo ricominciare da capo. Ciò che faccio, il ruolo che ricopro, riflette molto di me. Tuttavia, così come la genitorialità non definisce completamente il mio valore o la mia essenza, allo stesso modo ogni altro ruolo che ho nella vita non lo fa. Ognuno di essi comunica ciò che faccio e il modo in cui lo faccio, ma le intenzioni e i valori che li sorreggono rivelano solo in parte chi sono veramente.
Quale falso mito, riguardo mondo del lavoro, ha più influito sulle tue scelte? Scrivilo nei commenti oppure scrivimi a chiaramarturano@gmail.com
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