Cosa succede se l´identitá professionale diventa l´unico modo per descriverci?
Confucio diceva: Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno in tutta la tua vita.
Lungi da me contraddire Confucio, ma é una bella fregatura.
Per molti il proprio lavoro sará pure una missione di vita, magari una passione che, peró, finirá per assorbire il 99% del tempo.
Il rischio é che il nostro lavoro finisca per permeare tutti gli aspetti della nostra vita, azzerando i confini con la vita privata: non solo prosciugherà il nostro tempo, ma anche tutte le nostre energie, monopolizzando i nostri pensieri.
Ma quanto é importante il lavoro per le persone?
Provate a pensare a quando conoscete qualcuno: dopo aver chiesto il nome (nome che tendiamo a dimenticare immediatamente), cosa chiediamo o ci viene chiesto?
Esatto! Che lavoro fai? Risposta: "Io sono" seguito dal nome della professione. Piú difficilmente rispondiamo con "faccio" o "mi occupo di".
Ecco che, con una parola sola, ci definiamo: il nostro lavoro diventa la nostra essenza, la nostra identitá.
A seconda, poi, dell´ambito professionale indicato dal nostro interlocutore, avremo una differente reazione, tutto dipende dalla scala di valori che utilizziamo e la societá in cui siamo immersi, ovviamente: "Sono medico", "Wow, salvi vite!", poco importa che si tratti di un cardiochirurgo o di un medico legale, nell´immaginario comune il medico é una professione non solo prestigiosa ma portatrice di valori profondi e altruistici.
Ci sono, poi, alcune figure che carichiamo di aspettative: quando incontriamo uno psicologo, ad esempio, gli chiediamo di "leggere" il nostro carattere, riversandogli addosso la storia delle nostre disgrazie, immaginandocelo a metá tra un monaco zen e una zingara che legge le carte. Con altre, invece, tendiamo a generalizzare e ad etichettarle con rigidi modi di pensare: per esempio gli ingegneri, tutti quadrati e poco flessibili, i sistemisti informatici ovvero i classici nerd, gli educatori di comunitá, tutti tipi alternativi con i pataloni colorati etc.
Il come descriviamo una certa professione, plasma davvero il modo di pensare e il carattere di chi appartiene a quel settore.
Lasciamo che, tutto questo carico di significati legato alla nostra identitá professionale, ci definisca come persone in generale e guidi le nostre scelte. Finiamo, quindi, attraverso la nostra identitá lavorativa, i pregiudizi e gli stereotipi che l'accompagnano, per attribuirci un certo valore.
Non é vero per tutti, ovviamente. Non capita con tutte le professioni, ma é un rischio che corriamo quando i confini tra vita professionale e vita privata non sono netti. D'altra parte passiamo, lavorando, la maggior parte della nostra quotidianitá.
Molte persone sono orgogliose di questa commistione, si riconoscono in quei valori, il lavoro lo hanno scelto proprio perché l'identitá lavorativa sostiene e coincide con quella personale.
Ma cosa succede quando l´identitá professionale diventa l´unico modo per descriverci? Cosa succede se quei valori vengono infranti, incontriamo qualcuno che ci fa odiare ció che abbiamo scelto come definizione di noi stessi? oppure andiamo in pensione o lasciamo quel lavoro per mille possibili motivi?
Nell´articolo citato tra le fonti, si parla di “enmeshment“, ovvero invischiamento tra identitá lavorativa e quella personale e delle conseguenze di questo fenomeno: se sul lavoro falliamo diventiamo dei "falliti" e possiamo dire addio alla nostra autostima, con ricadute psicologiche profonde.
Un´altra conseguenza é la mancanza di spazio e tempo per altro: cioé non ci diamo la possibilitá di coltivare altri interessi, fare sport, amicizie, vivere altre avventure.
Ancora, finiamo per descriverci sempre e solo in un certo modo: sono un elettricista, sono un amministrativo etc e nulla racconta delle nostre giornate lavorative o del nostro carattere. Cosí, quando ci presentiamo ad un colloquio di lavoro, ci mancano le parole e fatichiamo a rispondere alle interviste.
Oppure ci troviamo a svolgere un lavoro che nulla ha a che fare con ció che siamo. La nostra identitá lavorativa é "confusa", non ben definita, senza scopo, insomma "ci pago l´affitto". Il rischio, in questo caso, é che questo ci porti a cambiarlo spesso, oppure a tenerlo e a sentirci frustrati e stressati.
Seguo una blogger che gira con il suo minivan e lavora in smart working e, poi, dove arriva trova qualche lavoretto per integrare le sue entrate. Anche le cose che pubblica fanno parte del suo lavoro. Ha trovato, insomma, il modo per integrare il lavoro con il suo stile di vita. Il lavoro principale non la definisce ma la sostiene nel raggiungere altri scopi.
Torneremo su questo tema piuttosto complicato, nel frattempo, facciamo un gioco.
Provate a pensare al vostro lavoro (presente o passato, se non state lavorando) ed elencate 5 aspetti che lo caratterizzano o che sono importanti.
Ad esempio:
che significato ha per voi? e per gli altri?
i vostri valori, le vostre credenze e quelle dell´azienda o delle persone con cui lavorate sono condivise?
che impatto crea l'attivitá che svolgete?
in che modo cambiate quando siete a lavoro? Provate ad osservare come cambia il vostro corpo quando state lavorando. Magari siete piú seri, oppure cambia il tono della voce, la vostra postura.
che cosa NON fareste mai lavorando e fate, invece, nella vita di tutti i giorni?
Sbizzaritevi!
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