top of page
Immagine del redattoreChiara Marturano

Heimat


Ho scelto di dedicare una parte del blog alle parole, specialmente a quelle che non hanno un corrispondente in altre lingue, la cui traduzione richiede tutta una lunga spiegazione. Il fatto che, ad un certo punto della propria storia, ciascuna cultura abbia sentito la necessitá di creare una parola per descrivere una situazione, un sentimento, una sensazione, un modo di vivere dice tanto del modo di ragionare, delle prioritá e delle cose importanti per quel popolo, ad esempio.

La parola di questo post é heimat, sostantivo tedesco (Germania), creato intorno alla metà del XIX secolo: come in tante altre nazioni l´industrializzazione comportava lo spostamento delle persone dalla campagna verso le grandi cittá. Nel frattempo stava avvenendo l´unificazione della Germania: quindi l´identitá personale e comunitaria sembrava perdersi. L'Heimat venne interpretata come una reazione a questa perdita. Ma che significa e perché ne parlo? Questa parola indica un posto che puoi chiamare casa, ma anche come senso di appartenenza, di accettazione, sicurezza e di connessione alla propria casa natía, alle proprie origini. E´qualcosa legato, insomma, alle proprie radici.

Sono cresciuta girando per l´Italia e, sebbene, la nazione fosse sempre la stessa, ogni volta ero "quella che veniva da fuori", "la straniera". La prima domanda che mi veniva fatta, per determinare di dove fossi, era: ma dove sei nata? Era lí che, secondo chiunque, potevo trovare le mie origini. San Benedetto del Tronto. Oh, allora sei marchigiana. Ehm, no. Perché a tre mesi di vita ci siamo trasferiti in provincia di Roma. Ah, allora sei romana. Ehm, non proprio perché ci sono rimasta poco. Allora di dove sono i tuoi genitori? La loro cittá natale avrebbe determinato, finalmente, la mia storia e la cultura di appartenenza. E´vero, ci passavo molte estati, c´erano altri parenti, ma ero "la straniera" anche lí e non sempre ci capivamo, nonostante la lingua di base fosse la stessa. Ho passato la maggior parte della mia vita cercando di definire quale fosse la mia casa, il posto a cui appartenevo. E, poi, ho continuato a viaggiare, e a trasferirmi da sola. Sempre tornado a Genova, ultima cittá italiana che ho considerato casa ma con cui ho un rapporto conflittuale: non l´ho scelta, mi ha tolto tanto, eppure ci sono alcune delle persone che piú amo al mondo e quando ci torno, so come muovermi, ne conosco i vicoli piú buoi e fitti. E´ heimat, allora, per me? Mmm no. Non sento di avere tante cose in comune né sento di esserne parte o né sicura.

Vivo ad Eindhoven da 4 anni. Quando mi chiedono di dove sono e, rispondo Italia, non c´e´bisogno di altro, é tutto: pizza, pasta e gelato. Cose con cui mi posso serenamente identificare. Allora é qui la mia casa? Non parlo ancora bene la lingua (un eufemismo per dire che il mio livello di olandese é spaventosamente basso), non conosco le leggi ,mi sfuggono ancora le usanze. Colgo da questa cultura alcuni aspetti che mi piacciono e che condivido: la libertá individuale, il senso di comunitá senza la sensazione di soffocamento, l´essere molto diretti, i bimbi al centro dello svolgimento delle giornate. Ci sono le persone che piú amo al mondo, c´e´la mia casa fisica che riflette le nostre anime, mi sento al sicuro. Eppure. Mi immagino qui tutta la mia vita? Non proprio. Parafrasando una frase che ho sentito in un film, il mondo é talmente grande che sarebbe un peccato non andargli incontro. E penso che quell´amore, quella sicurezza, quella sensazione di radicamento li creo io e me li porto dentro, ovunque io decida di stare.

3 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page